E che non ti dirò mai.
Perché mi fanno un po' schifo.
Contagiano come un virus.
Sono peggio di una catena di sant'antonio. Uno comincia, tutti lo
seguono. Perché vanno di moda. Sono espressioni attuali,
contemporanee. Modi di dire in italiano, che spesso non significano
nulla. O vocaboli in inglese. Di tendenza. Che ci fanno sentire
fighi. Ma anche un po' scemi.
Cominciamo dai tormentoni
italiani più in voga del momento:
Tanta roba (e cioè?
Quanta, per la precisione?)
Bella lì (questo è
simpatico...)
Anche no (l'ho usato pure
io in un vecchio post e me ne vergogno parecchio)
Ci sta (dove
esattamente?)
In qualche modo (quale
modo?)
Fondamentalmente (nel
senso che è fondante? O fondente? Che va a fondo? Che un fondino? O
una fondina? boh...)
Aperi-cena (già non
sopporto chi dice “colazione” e intende “pranzo”, figuriamoci
questo...)
Passiamo ai termini
inglesi ormai entrati nel vocabolario:
cool (passi perché non
c'è un corrispettivo in italiano che renda altrettanto bene)
friendly
glamour
fashion
selfie (è una novità in
espansione)
trendy
tutorial (anche questo
dilaga ovunque, sostituendosi al buon vecchio “corso”)
briefing
meeting
outing
running (dilaga pure
questo, sostituendosi alla cara vecchia “corsetta”)
dinner
startup
speaking
talks (dire “conferenze”
pareva barboso?)
Nel mondo dell'arte, poi,
lo snobismo, in una lingua o nell'altra, raddoppia. Non capisco se
sia per rendere oscura un'idea inesistente, così da mascherare la
sua inesistenza, oppure per allontanare i pochi che vi si avvicinano,
o piuttosto per simulare un nozionismo e una dose di erudizione tale
da sentirsi superiori.
Cito solo quelli raccolti
nel corso dell'ultima settimana fra conferenze, testi critici,
presentazioni e via via snobbando:
evento (è il più
datato, ma resta sempre il più pruriginoso!)
sistemico
opening
mission
sinergia
educational (la parola
“didattica” a molti sembra mortificante e poco contemporanea)
reading
implementare (orribile)
arcipelaghi
emozionali
germinativi
curatoriali
iconici
aniconici
performativi
installativi
relazionali
ibridazioni
funzionalizzanti (è a
dir poco cacofonico, bleah)
archetipale (questo è un
esempio classico di vocabolo antico plagiato da uno sfoggio di
sapienza sbruffona)
oltre naturalmente ai più
gettonati:
enciclopedico (adesso che
l'ha usato Gioni per la Biennale di Venezia, va bene per tutte le
stagioni)
e antropologico (andando
di moda l'antropologia, tutto è diventato antropologico, in senso
lato, molto lato)
Per concludere, il
discorso è doppio.
Da un lato c'è l'uso
esasperato della lingua straniera per imbellettare concetti che anche
in italiano renderebbero benissimo. Tanto più che la nostra lingua è
ben più antica e ricca dell'inglese. Ma l'esterofilia dilaga e ci si
sente più allineati ad essere appiattiti. Penso che difendere la
lingua – senza eccedere come fanno i francesi che chiamano la
homepage, page d'accueil), non sia provincialismo, ma sia una
difesa importante della propria identità. Bisognerebbe essere
orgogliosi di usare l'italiano. È una questione di senso di
appartenenza, di valorizzazione della nostra storia. Non dovremmo
lamentarci della mancanza comune di un senso dello stato, della cosa
pubblica, della valorizzazione del nostro patrimonio, se siamo i
primi a privilegiare il portato degli altri, sponsorizzando parole
straniere, abitudini straniere, artisti stranieri, lasciando che
molti nostri autori non reggano il confronto, dal punto di vista del
mercato. Non c'è difesa del “prodotto” locale, a differenza
degli americani che sfoggiano un protezionismo bestiale. Faccio solo
un esempio, e chiudo. Una incisione di John Marin, simil-futurista
americano di primo Novecento, vanta oggi una quotazione media parente
agli 80mila dollari; una acquaforte analoga di Luigi Russolo,
futurista coi fiocchi, passa in asta con quotazioni variabili dai 6
agli 8mila euro. Fatevi delle domande.
Dall'altro lato (e chiudo
davvero), io credo personalmente nella divulgazione, nel racconto,
nella condivisione, nella trasparenza. Il cosiddetto “critichese”,
lo sfoggio di sapienza, le frasi complesse, i vocaboli macchinosi
nascondono pensieri altrettanto macchinosi. Spesso mi accusano di
usare modi giornalistici anche quando mi impegno in testi
scientifici. Forse è vero. Ma Italo Calvino (nomen omen, per
rimanere in tema!) e le sue Lezione americane corrono in mio
soccorso, con tutto il loro spirito di leggerezza. E ricordo sempre
una sua frase in grado di siglare questa idea di semplicità, laddove
Calvino, spiegando un verso di Dante del Paradiso, in cui il poeta
motivava la “scienza innata di Dio”, parafrasò con
semplicità:«La
fantasia è un posto dove ci piove dentro».
La raccolta continua...
Come diceva il poeta:
«anche tu puoi
contribuire con un verso».
Grazie fratelli!