Al Museo del Novecento di Milano
Cinque anni di mostre e attività
Un resoconto fra luci e ombre
da
La Repubblica di mercoledì 2 dicembre

Novemila persone in coda
sotto la piaggia. Dalle quattro del pomeriggio all'una di notte. Come
a un concerto rock. Fa impressione il numero di visitatori con cui,
il 6 dicembre del 2010, il Museo del Novecento ha inaugurato la sua
storia. L'allora sindaco Letizia Moratti, dopo una preview per pochi
(500) intimi, accolse il pubblico nella hall e varò quei tre mesi di
ingressi gratuiti che assicurarono al museo la palma d'oro del luogo
d'arte più visitato d'Italia: 400mila presenze registrate fino a
marzo, una media giornaliera che superava le 4.600. Oggi, a cinque
anni di distanza, il Novecento apparecchia una festa, in agenda
domenica, stilando un programma di iniziative, fra visite guidate,
laboratori, musica, teatro, performance e un rinfresco offerto dal
ristorante Giacomo. In attesa di (ri)mettersi in coda per un'altra
affollata giornata di gala, si possono ripercorre questi anni di
attività che hanno restituito a Milano il patrimonio prezioso delle
collezioni d'arte moderna e regalato alla città un museo allegro e
vitale. Ecco allora un primo bilancio. Positivo, con qualche punto
debole da inserire nella lista delle urgenze. Partiamo dal percorso,
ricco di 400 opere, selezionate da un nucleo di 2.500, dipanato fra
le avanguardie storiche del secolo breve e il fatidico 1968, anno di
svolta sociale in cui l'arte moderna ha ceduto il passo al
contemporaneo duro e puro. I pezzi sono capolavori da manuale: il
Ritratto di Guillaume di Modigliani, Elasticità di
Boccioni, Il cavaliere rosso di Carrà (la Moratti lo volle
come immagine-guida, preferendolo al più proletario Quarto Stato
di Pellizza), la Natura Morta con Manichino di Morandi, La
sete di Martini, fino al neon di Fontana che illumina ogni sera
piazza Duomo dall'alto. Peccato che l'allestimento, poco agile, non
permetta turnover dai depositi, rotazione delle opere o inversioni di
rotta. A proposito del Quarto Stato, resta irrisolta la sua
collocazione nella nicchia lungo la rampa elicoidale progettata da
Italo Rota: un loculo buio che ne restringe la visione. S'è parlato
più volte di spostarlo, anche con una techno teca all'ingresso, ma
per ora rimane nell'ombra. In sospeso pure l'ipotesi di un
collegamento col pianoterra di Palazzo Reale, per aggiungere nuovi
spazi al museo. Bell'idea, ma insabbiata. E così, mentre i
visitatori si perdono in un cammino difficoltoso, che manca di
indicazioni e abbonda di scale mobili, si discute di come trovare
sale per le esposizioni temporanee. Fino ad ora, mostre splendide
come “Tecnica mista” o la liaison creativa fra Fontana e Klein,
“Munari politecnico” o la polvere di stelle di Warhol, sono state
distribuite lungo il percorso e nella manica lunga che affaccia su
via Marconi. Ma l'ultima importante donazione (su 80 lasciti siglati
in questi anni), ovvero le 600 opere della collezione Bertolini,
verranno (in parte) collocate proprio nella manica, ingessando
l'unico spazio elastico. «Quello
delle mostre è il lato critico che va affrontato. Il Museo ha
bisogno di affermare la sua identità con offerte precise»
dice Claudio Salsi direttore del Settore musei delegato a gestire il
Novecento fino al cambio di Giunta. Suo il compito di sostituire
Marina Pugliese che, partita per gli States, ha lasciato il posto
vacante. E che, da San Francisco commenta: «Spero
che la prossima amministrazione indica subito un concorso. I milanesi
sono fieri di questo museo e bisogna continuare a coinvolgerli».
Pugno di ferro in guanto di velluto, la Pugliese ha distinto con
acume i programmi del Polo Otto e Novecento, nei progetti di mostre
scientifiche e nelle vivaci attività collaterali, dai corsi di yoga
alla scrittura creativa con la scuola Holden di Baricco. Purtroppo,
per ora di altri progetti si parla poco. A parte di una mostra su
Boccioni che, a primavera, sposterà il cuore della sala sul
futurismo a Palazzo Reale. Speriamo non sia solo un trasloco.