Il dipinto che non vale una messa
Da leggere, l'articolo di Armando Besio
sul tema eterno dell'arte sacra.
Parole sante!
Il mistero doloroso del quadro in Duomo
da La Repubblica di lunedì 14 settembre
LE VIE del Signore sono infinite. E
così una modesta pittrice francese è riuscita a conquistare,
grazie alla sorprendente complicità della Veneranda Fabbrica e alla
distratta generosità della Provvidenza, nientemeno che la vetrina
del Duomo. Dove mica di passaggio, ma fino al 6 gennaio, è stata
invitata a esporre un’opera di sconcertante mediocrità. Si chiama
Kathy Toma, vive e lavora a Parigi. «Il suo lavoro pittorico
costituisce la sintesi di un linguaggio semi figurativo e di body
art» informa un comunicato stampa dalla sin- tassi incerta come la
poetica della signora. Che sostiene di esse- re «toccata da una mano
invisibile». Ma l’ingombrante polittico, alto quattro metri, che
occupa la quarta campata della navata me- diana destra, più che
ispirato dalla grazia divina sembra dettato da una confusa vanità.
S’intitola “Enigma primordiale. Il
mistero delle origini”. Interpreta (a modo suo) la Leggenda della
Vera Croce, un presunto Sacro Chiodo della quale (ed ecco il gancio
liturgico che giustifica la presenza del quadro) figura tra le più
popolari reliquie del Duomo. Ma il vero enigma, l’autentico mistero
doloroso, è come un’opera di qualità così scadente sia
riuscita a ritagliarsi uno spazio di prim’ordine in mezzo alla
grande bellezza del Duomo.
L’indiziato numero uno è Phi- lippe
Daverio, consigliere (e già presidente) del Museo del Duo- mo.
Dotato, in effetti, di una sua allegra spregiudicatezza. Ma capace,
fino a prova contraria, di di- stinguere il grano del bello dal lo-
glio del brutto. E infatti: «Io non c’entro nulla, non mi hanno
nep- pure avvertito» giura il critico, assente l’altra mattina
all’inaugurazione.
DOV’ERANO presenti un paio di
direttori di musei milanesi. Il loro sguardo perplesso, sebbene
educatamente dissimulato, valeva più di mille recensioni.
Assolto Daverio per non aver
commissionato il fatto, i responsabili risultano il professor Gianni
Baratta e monsignor Gianantonio Borgonovo, direttore e presidente
della Veneranda Fabbrica. Il professore assicura che «di fronte a
quest’opera ognuno di noi può ricontattare un sentire
inconsapevole, ancestrale». Il monsignore spiega che «la Veneranda
Fabbrica ha scelto sin dalle sue origini l’arte come momento di
espressione privilegiato per raccontare la contemporaneità». Basta
intendersi su che cosa è arte. E su che cosa è arte sacra
contemporanea. Già la scultura di Tony Cragg in Duomo appare
casuale e incongrua, e più compiacente che plausibile suona la
dichiarata ispirazione alla Madonnina di un’opera molto simile a
tante altre dell’artista. A proposito di madonnine, la copia in
scala 1:1 esibita nel padiglione della Veneranda Fabbrica all’Expo
strizza l’occhio al grande pubblico (cui viene offerta a 27,90 euro
anche una scadente riproduzione) senza sforzo alcuno di fantasia
estetica e pedagogica.
Eppure non mancano nella chiesa
milanese tentativi seri di coniugare arte sacra e linguaggio
contemporaneo. L’installazione di Wolf Wostell nel padiglione
Caritas all’Expo. Le mostre curate da padre Andrea Dall’Asta a
San Fedele e da Paolo Biscottini al Diocesano. Monsignor Borgonovo
presentando l’Enigma Primordiale ha citato l’arcivescovo Montini,
futuro Paolo VI, appassionato di arte contemporanea. Ma è lecito
dubitare che un uomo che amava Matisse e Chagall avrebbe approvato
una scelta di così basso profilo. In un bellissimo discorso del
1964 nella Cappella Sistina Paolo VI rifletteva sul doloroso distacco
tra la Chiesa e gli artisti. Imputava loro di avere perduto per
strada la vera bellezza. Ma riconosceva le responsabilità della
Chiesa. «Siamo andati anche noi per vicoli traversi, dove l’arte e
la bellezza e - ciò che è peggio per noi - il culto di Dio, sono
male serviti».