Franceschini investe in cultura
e
turismo.
Il decreto è legge.
Un solo appunto: speriamo che i soldi
dei musei restino nei musei.
A pochi giorni dalla
diffusione della bozza di riforma per la gestione dei beni culturali,
il Senato approva la proposta di Franceschini. Davanti a un caso di
efficacia politica che mira a un cambiamento necessario, le reazioni
del mondo della cultura fanno discutere. E anche un po' incavolare.
Eccone alcune.
Mentre i tecnici sbuffano
e i reazionari criticano, gli storici insorgono; come Settis o
Paolucci, che ha definito il piano di riforma “una macelleria”
indignato dalla “speculazione” su arte e cultura e dall'avvento
di manager (anche se la riforma non ne parla in modo esplicito) per
una gestione fruttifera delle risorse. Sarà mica preoccupato di non
essere più il solo a fare quadrare i (propri) conti?
Fra le numerose missive
di protesta inviate al Ministro, fanno sorridere quelle firmate dai
docenti universitari (quanti di loro hanno gestito, con esiti
fecondi, un museo o anche solo un albergo?) amareggiati da modifiche
che potrebbero trasformare davvero l'Italia in un paese capace di
mettere a frutto (e a reddito) le sue risorse. Detto fra noi, sono
gli stessi che l'anno scorso si sono lamentati del fatto che il
British Museum avesse stra-guadagnato sulla mostra di Pompei mentre
noi eravamo rimasti a bocca asciutta.
Piovono su internet i post
che, allarmati, annunciano l'estinzione degli etruschi, abrasi dalla
nostra storia solo perché il decreto sancisce l'accorpamento di due
soprintendenze; non certo per dimenticare ma, al contrario, per
snellire alcune procedure, così da permettere che le mura delle
città originariamente etrusche vengano restaurate in fretta...
invece di crollare!
Stendiamo un velo pietoso
sul dibattito che riguarda la possibilità di fotografare nei musei,
che ha visto spesi, on line, fiumi di inchiostro virtuale. Come se
fosse il punto principale di una riforma ben più articolata.
Ridicoli i commenti idealisti sulla necessità di tornare a guardare
dal vero le cose, redatti magari da persone che sono
facebook-dipendenti e condividono tutto, senza pudore. La verità e
che, nei musei stranieri, se vuoi farti uno scatto con un capolavoro
puoi farlo liberamente ed è più coinvolgente che acquistare una
cartolina, oltre che utile al museo per farsi pubblicità mediatica.
Da noi, visto che non si può fare, tutti lo fanno di nascosto, che è
pure peggio.
Fra le reazioni deprimenti, le lettere aperte a Franceschini da parte di ispettori
della Soprintendenza, che vantano ruoli multipli, di direzioni
museali e direzioni di laboratori di ricerca e di laboratori di
restauro, oltre che direzioni generali di poli museali che,
dall'alto dei loro incarichi paralleli, di privilegi a vita e poteri
illimitati lamentano il rischio di “frammentazione” della
dirigenza e della gestione concepite dalla riforma, difendendo le
loro posizioni di comando granitiche e ignorando bellamente che,
nella logica di agilità sposata da Franceschini, un capitolo
importante è dedicato all'assunzione diretta, con contratti a tempo
determinato, di giovani under 40 impiegati per rafforzare servizi di
accoglienza, interventi di tutela, protezione, conservazione,
valorizzazione dei beni culturali. Non darà forse fastidio l'idea di
condividere lo spazio con drappelli di giovani volenterosi e pieni di
idee fresche?
Detto questo, stupisce
(ma neanche tanto) il fatto che le reazioni siano legate ai punti
della riforma che discutono lo status quo della gestione, mentre le
reali e più lungimiranti intuizioni non hanno sortito commenti. Come
la deducibilità al 65% delle donazioni per il restauro di beni
culturali, biblioteche e archivi, per gli investimenti
dei teatri e delle fondazioni lirico sinfoniche, fino a
arrivare alle agevolazioni fiscali per favorire la competitività del
settore turistico attraverso la sua digitalizzazione e la riqualificazione degli alberghi (i francesi hanno metà dei nostri alberghi e vendono il triplo delle camere!). Inutile dire che
si tratta del punto più importante, visto che è quello su cui
si regge e prolifica tutto il sistema anglosassone della
cultura, a fronte di contributi minimi pubblici. Un punto che, non a caso, avevo previsto nel mio post del 19 gennaio…
Ciò su cui semmai
bisognerebbe discutere è l'utilizzo effettivo dei finanziamenti: la
riforma non specifica come verranno introitati dalle singole
istituzioni e se esse avranno libertà di gestione dei propri fondi,
senza vederli insabbiati (come accaduto fino a oggi) nel calderone
delle entrate comuni. Si spera, insomma, che i soldi dei musei (di
teatri and co...) restino ai musei. Questo favorirebbe anche la
volontà di riappropriarsi dei servizi dati in gestione, come i
ristoranti e i bookshop, utilissimi alle rendite dell'istituto e
attualmente utili solo alle rendite dei concessionari. Meglio ancora
sarebbe capire se tutto questo riguardi solo i musei statali, oppure
anche tutti gli altri, allargando ai comuni e alle provincie.
Dovendo davvero discutere
della riforma, cominciamo da qui. Perché le fotografie, le poltrone
per due, gli etruschi e i manager sono solo diversivi per distrarre,
come sempre, l'attenzione da problemi reali e per difendere gli
interessi di quei pochi aggrappati alle loro chiacchiere e ai loro distintivi.
Vedi anche:
Il mio post del 19 gennaio.
I post su facebook degli amici e
colleghi Diego Galizzi e Alessandro Furiesi, sempre puntuali, lucidi
e (giustamente) acidi...
L'articolo di Giuliano Volpe che fa il
punto sul disappunto (ingiustificato)