Niente di tutto questo, purtroppo. Meglio allora la retrospettiva su Josef Albers alle Stelline. Storia di una mente (della pittura) meravigliosa. A beautiful mind, che vale una gita in città.
«Se
qualcuno dicesse “rosso” e, davanti a lui, ci fossero cinquanta
persone ad ascoltarlo – spiegava Josef Albers (1888-1976) – è
certo che, in ogni testa, si formerebbe un tipo di rosso particolare,
per un totale di cinquanta tonalità diverse».
Colpa della vista, che fa sempre strani scherzi. Ma, soprattutto,
della nostra mente, che percepisce le cose in modo soggettivo,
modificate dalle esperienze, dai moti dell'animo, dalla sensibilità.
Basta una visita alla bella antologica che la Fondazione Stelline in
collaborazione con la Josef & Anni Albers Foundation dedica al
maestro tedesco dell'astrazione emotiva, per testarlo di persona. Per
scoprire, cioè, che un'opera intitolata proprio Rosso degli
anni Sessanta, utilizza sfumature minime del colore per suggerire un
movimento illusorio e una profondità che non c'è. Mentre la
Variante rosa arancione circondata da 4 grigi del 1947,
dipinta a olio su masonite, pigmento puro steso in aree perfette come
un compito di aritmetica, sembra domandare allo spettatore quale sia
la tinta dominante. Ognuno – sosteneva Albers – tende a
individuare d'istinto la tinta che meglio riflette il suo spirito;
peccato che ogni colore occupi una superficie identica alle altre.
Provare per credere. Non sono i giochi di un mentalista, ma la
dimostrazione di un teorema. Albers l'artista, lo scienziato, il
teorico del colore, l'allievo e docente del Bauhaus che, in fuga dal
nazismo, arrivò a insegnare al Black Mountain College del North
Carolina e poi nel Dipartimento di Design di Yale, incantò così
tutti i suoi studenti. Mettendo alla prova le loro capacità
intuitive, invitandoli a sperimentare effetti ottici e bacchettando
le composizioni inesatte. Per spiegare la magia delle curve –
racconta chi lo conobbe bene, come Nicholas Fox Weber che ha curato
la mostra insieme a Nick Murphy – accarezzava i fianchi delle
ragazze, con i suoi modi galanti, alla Clark Gable, brillantina e
giacche su misura. Con i maschi, invece, era impossibile, tanto da
aver terrorizzato alcuni nomi illustri cresciuti fra i suoi banchi:
Robert Rauschenberg, signore del new dada americano, o Robert De Niro
(senior), il papà dell'attore, espressionista astratto di scuola
newyorchese. Vulcanico, cervellotico, aggressivo, trovava pace solo
nello spazio mistico dei suoi quadrati concentrici (di formazione
cattolica credeva in un paradiso geometrico, come Dante), in armonie
di sistemi dove la razionalità – memore del Bauhaus – poteva
finalmente sposare la poesia. «Sublime
Optics», ottica sublime,
è infatti il titolo azzeccato della mostra che, in un'ottantina di
lavori, dagli esordi figurativi, già segnati dalla ricerca maniacale
di una regola, fino alle visioni ipnotiche della maturità, in cui
rampe di scale salgono e scendono a seconda del punto di vista,
riassume l'ossessione di una vita. Per le leggi dei colori, delle
forme e degli occhi che, diceva, «voglio
aprire a tutti, affinché possano vedere davvero».
Una lezione che si rinnova alle Stelline, ma anche all'Accademia di
Brera dove, da mercoledì 2, sarà allestita una sezione
riservata al metodo d’insegnamento di Albers, mentre Fox Weber
lunedì 30 terrà nel Teatro In-Stabile del Carcere di Bollate un
incontro sui segreti di questo matematico romantico, mente
meravigliosa dei numeri e della pittura.
/da La Repubblica, giovedì 26 settembre
Fondazione Stelline, c.so Magenta 61,
fino al 6 gennaio, orari: mar-dom 10-20, ingresso: euro 8/6
Info 02.45462411, lunedì
30 su prenotazione www.stelline.it